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Photo di Ahmed Oueslati

Lo chiamano il conservatore, lo etichettano indipendente e antisistema, si ricordano di lui dai tempi della rivoluzione, ne dimenticano tuttavia i fatti annessi. Kais Saied, l’ammaliatore dall’arabo antico, professore di diritto costituzionale, giurista in pensione, è l’uomo che si impone sullo scenario politico tunisino mal celando una certa arroganza culturale, di supremazia intellettuale, o più probabilmente una tenacia che si ammanta di forti convinzioni, da imporre. Non è uno sprovveduto il nuovo presidente, il terzo eletto a Tunisi dopo il tonfo-trionfo della rivoluzione dei Gelsomini del gennaio 2011 che aveva spodestato Zinedine el-Abidine Ben Ali. Saied ha scalzato la concorrenza del più prevedibile Nabil Karoui, , il magnate tacciato di corruzione, il cui arresto ha sollevato non pochi dubbi sull’indipendenza della magistratura e sull’uso della giustizia in Tunisia; al primo turno con il 18,7 per cento dei voti, e oggi col 72,53%% delle preferenze. Cifre da capogiro. Cifre democratiche che non temono il confronto. Sulla liceità del procedimento elettorale di queste ultime settimane non possiamo disquisire, sui mezzi, chiari, con cui i candidati si appropinquano al potere forse si.

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Saied millanta di non aver avuto bisogno né di un establishment politico né dei supporti dei classici e triti strumenti di propaganda elettorale. Salvo poi “accettare” il sostegno del Movimento per la rinascita, Ennhada, partito del movimento islamico di maggioranza attualmente al potere in Parlamento, il supporto degli islamisti di Al Karama, del partito Ettayar, del Movimento del Popolo, e il bacino di voti per un totale di ben 51 liste a proprio favore. “I giovani mi hanno votato! Abbiamo sfruttato la campagna social e i nuovi mezzi di comunicazione”. Già solo per questo fatto qualcuno potrebbe sentirsi abbastanza italiano…

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In un Paese con un tasso di disoccupazione alto quanto quello tunisino, qualsiasi speranza può nutrire il respiro di una generazione di ragazzi, laureati, preparati, desiderosi di conoscenza e nuove mete ma allo sbando totale. La Tunisia è una macchina a vapore senza turbina e ignorante dei propri stessi processi. Non consola l’attenuante banale che osanna al meno peggio, in tempi in cui basta un chick a riorientare l’asse cartesiano dello spazio-tempo. La paura cerca escamotage di sopravvivenza, incapace di estinguersi. Saied regala specchietti per tutte le allodole del suo campo. Ma il popolo sa che dopo la carota viene il bastone? O dimentico delle basilari conquiste che, pur nel tradimento dei suoi principi, la Rivoluzione ha garantito, non ne teme lo smantellamento? Oggi è difficile, persino per i tunisini, abboccare alla retorica del ritorno al passato. Eppure è probabile, come spesso accade anche in quel mondo occidentale tanto temuto quanto invidiato. Non vi è riparo dalla perdita del senso del valore dei diritti umani. Un popolo che rinnega le proprie stesse conquiste è scettico o infantile. O forse non crede a quanto breve sia il passo fra la libertà e la corruzione. Saied si propone come il tagliatore di teste, il suo spirito “riformatore” ha fatto presa sulla stanchezza esacerbata di un popolo troppo abituato alla corruzione. Il suo iperfederalismo è piaciuto ai molti che in politica estera anelano al panarabismo. Lo sbandieramento di un approccio poco democratico nei confronti delle istituzioni è già stato tradito da una famosa e plateale affermazione: “Il potere deve appartenere direttamente alle persone”. La democrazia diretta torna in auge fomentandosi nelle sue degeneri forme. La prova sarà mettere insieme il mosaico di forze politiche che compone il parlamento fuoriuscito dalle ultime legislative, per raggiungere una maggioranza stabile che permetta di realizzare le riforme a cui la Tunisia anela.

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I germi di un populismo in erba sono visibili ma non destano paura: la Costituzione tunisina garantisce poteri limitati al Presidente. Tuttavia non è chiara la linea che si intende seguire in un Paese a due velocità: che millanta progresso e riforme a fronte di un’inversione a U sul piano sociale, che riguarda i basilari diritti delle donne, dei laici, degli omosessuali, delle categorie a rischio più vitali di un Paese per troppo tempo lasciato allo sbando.  La confusione traspare già nelle diciture: Said si dichiara musulmano non-islamista, è contrario al progetto di legge sulla parità uomo-donna in tema di eredità e soprattutto è schierato contro la depenalizzazione dell’omosessualità. Immemore forse dei fatti storici e culturali che hanno segnato la conquista dei diritti dei cartaginesi, il professore non lascia presagire buoni auspici in un Paese la cui mentalità ha sorpassato di gran lunga il rispetto di codici obsoleti e la consuetudine dei modelli occidentali ha accorciato le distanze fra le sponde. Persino sull’abrogazione della pena di morte, oggetto di moratoria dopo il trionfo della Rivoluzione, la matrice ultraconservativa si è imposta, surriscaldando un’opinione pubblica ancora confusa. In un sistema economico che nonostante una Rivoluzione e anni di polarizzazione fra il campo islamista-rivoluzionario e quello progressista-modernista (a cui apparteneva il deceduto presedente Essebsi) soffre degli stessi problemi dai tempi della dittatura, Saied propone un nuovo protezionismo, col rischio di emarginare ancora di più un Paese territorialmente africano ma socio-economicamente europeo.

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Non possiamo predire il risultato, reale, che verrà fuori dall’elezione del presidente Kais Saied e dalla scelta, risentita o meno, degli elettori (giovani e non) che lo hanno supportato. Ma riflettere sulla mancanza di continuità che conduce un’alternanza di forze politiche di facciata, a fronte dell’incapacità di creare cambiamento si. Probabilmente i gelsomini son durati il tempo di una storica Comune… subendone miserevolmente la stessa sorte. “Inshallah” direbbero i protagonisti, “speriamo di no” noi della sponda nord.

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Elena Beninati

14 ottobre 2019