“Non c’è alcun periodo dello sviluppo nel quale l’essere umano viva al di fuori del regno dei rapporti interpersonali.”
Prendo spunto dalla frase di Harry Stack Sullivan per introdurre la riflessione sullo sradicamento, culturale e ambientale, che ha a che fare con i temi di attualità in tempi di im-migrazione. Assodato che siamo tutti, a qualsiasi latitudine, animali sociali dall’origine dei tempi, possiamo intendere la storia di ogni uomo come un percorso imitativo che lo rende consapevole della propria evoluzione.
Il soggetto uomo, dotato di una struttura biologica tale da renderlo capace di connettersi con gli altri a partire dalla propria corporeità, è geneticamente disposto a imparare dai suoi simili nella materialità dell’esperienza quotidiana in cui è immerso. Egli, imprescindibilmente, si trova sempre nella situazione di appartenenza ad un gruppo in una condizione sociale originaria che lo rende, per necessità, oggetto di cure e attenzioni, e allo stesso tempo lo nutre in un contesto culturale e socio-familiare che plasma la sua mente attraverso quella che può definirsi, a merito, un’originaria manipolazione del corpo. La specificità dell’essere umano riguarda proprio questa sua capacità di essere geneticamente disposto ad apprendere e ad assumere, come fossero originariamente propri, i segni delle intenzionalità, degli affetti, dei modi relazionali che il proprio ambiente intende trasmettergli e insegnare attraverso gli altri simili. L’ambiente, infatti, è il primo responsabile della regolazione umana e ricopre un ruolo di fondamentale importanza nella modellazione dell’equilibrio del corpo.
Questo ci permette di delineare una traiettoria dinamica attraverso cui apprendere e diventare sensibili verso gli oggetti del mondo. La condizione di benessere del soggetto in relazione col mondo attraverso gli altri, quindi, è preservata o meno, a seconda del tipo di rapporto che egli intrattiene con il suo ambiente e che esperisce attraverso il suo essere e manifestarsi corporeo. Avere un corpo, infatti, equivale ad essere affetti, nel senso di effettuati, messi in movimento da altre entità umane. Se non siamo impegnati in questo apprendimento diventiamo insensibili, piatti, scivoliamo nel baratro dell’impotenza. La vita mentale dell’individuo umano, per l’appunto, è centrata su relazioni inter e trans personali interiorizzate, che forniscono la base per le identificazioni necessarie alla costruzione della personalità e che formano, nel complesso, una gruppalità interna. In questo senso, l’insieme di tutte le relazioni costituisce la mente, intesa come un continuum di interazioni in movimento costante. “Solo davanti a noi, nella cosa in cui la nostra percezione ci colloca, nel dialogo in cui la nostra esperienza d’altri ci getta con un movimento di cui non conosciamo tutte le molle, si trova il germe d’universalità senza cui non ci sarebbe conoscenza.” (Cit. M. Merleau – Ponty, Sens et non sens).
Lasciarsi coinvolgere dall’altro, volerlo incontrare su un piano di reciproca comunicazione e scambio, denota un contatto fra esseri desideranti e liberi, in cui la scelta della responsabilità nei confronti di un altro individuo, attesta un atto di libertà. Come diceva Aristotele, schiavo è colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L’uomo libero, invece, è colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri. Tale responsabilità etica permetterebbe di recuperare il nesso fra le scelte individuali e collettive, perché la vita, intesa come una sequenza discontinua di interpretazioni di eventi, nel tentativo di comprenderli e trarne il senso, vi attribuisce significati che si stratificano nella mente, e costituiscono la cornice dei successivi processi di comprensione umana, condizionandoli. Se la griglia di comprensione del mondo passa, dunque, attraverso la relazione con gli altri, è necessario che sia stata preliminarmente istituita una relazione in cui potersi riconoscere ed essere al tempo stesso riconosciuti ed ascoltati, e in cui abbandonare la naturale resistenza all’esternazione del proprio stato e la paura. La salute dell’individuo, infatti, ha a che fare con la tematica della libertà e della realizzazione di sé, e presuppone un adattamento reciproco fra uomo e ambiente seguito da una progressiva assunzione di controllo e responsabilità sulla propria condizione, laddove il disagio umano, invece, è il risultato di un rapporto diadico fra corpo e ambiente disfunzionale. Nell’incontro relazionale possono verificarsi entrambe le situazioni. Scandagliare le risorse che possano agevolare una comunicazione costruttiva implica la scelta di un nuovo linguaggio. Il mondo esterno, infatti, si può concretizzare solo quando si verificano una serie di incontri con l’altro a mezzo del linguaggio, “L’io si costituisce innanzitutto in un’esperienza di linguaggio e in riferimento a un tu, e questo in una relazione in cui l’altro si manifesta.” (Cit. M. Merleau – Ponty, Phénoménologie de la percetion). Ed è per ciò che qualsiasi forma di esperienza umana nel mondo è essa stessa ermeneutica, intesa come l’arte di evitare l’incomprensione.
“Comprensione e incomprensione hanno luogo tra l’Io e il Tu. Però già la formula “Io e Tu” testimonia una enorme astrazione. Ciò non esiste in modo assoluto. Non vi è né un “Io” né un “Tu” vi è piuttosto un dire Tu da parte di un Io, e un dire Io dinanzi a un Tu; ma si tratta di situazioni che sono sempre precedute da un’intesa.” (Cit. M. Merleau – Ponty, Phénoménologie de la percetion). In una sana relazione l’attenzione alla storia dell’altro si traduce nella preoccupazione di farlo sentire accolto creando, se necessario, uno spazio simbolico in cui nominare cose nuove attraverso nuove parole, in un processo di costruzione del significato insieme-con-altri. L’incontro può avvenire solo se l’altro è considerato nella sua interezza, in quanto essere vulnerabile e costitutivamente umano. “Mentre in ciò che apparentemente è lo stesso viene mostrata la tensione di un reale problema, in ciò che viene riconosciuto come differente si mostra al tempo stesso la forza di uno stesso impulso.” (Cit. T.H. Adorno – Minima Moralia). Riscoprirsi capaci di chiedere e dare aiuto, creando nuovi rapporti, a partire dalla scoperta degli scarti e delle differenze, riproposti come materiale da offrire alla ristrutturazione, rende possibile la riscoperta dell’autonomia emotiva e sociale e permette l’attivazione di una rete di sostegno interpersonale.
Questa premessa relazionale è ciò che ci rende umani…
Elena Beninati
Maggio 2019
Lascia un commento