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A 27 anni cercano di distruggerle la vita, mossi da pulsioni e senza motivazioni, così, forse per noia o semplice arroganza.

Samah è il nome di copertura della giovane donna tunisina che ho intervistato, con una stretta al cuore, ad un mese dall’orrido evento che le ha devastato l’esistenza.

Samah lo scorso gennaio ha conseguito la laurea magistrale in civiltà, letteratura e lingua italiana, parla e scrive benissimo l’italiano. Siamo a Tunisi in piena emergenza Covid, un venerdì pomeriggio dei primi giorni di lockdown, nei pressi della stazione Beb Alioua, una zona semi malfamata dove Samah, ex studentessa fuorisede del sud Tunisia, ha preso alloggio con altre ragazze. Lavora in remoto per il servizio clienti italiano dell’operatore Lycamobile. Mancano due ore al coprifuoco ma deve necessariamente recuperare il suo pc prestato ad un’amica tempo addietro. Samah non conosce ancora tutte le facce che le offre la città. Alle 16.30 del 20 marzo si avvia all’incontro con un conoscente che avrebbe dovuto restituirle il pc…

“In Tunisia l’emergenza Covid era scoppiata da poco, per evitare un possibile contagio nei mezzi pubblici ho deciso di recarmi all’appuntamento a piedi, data anche la brevità del tragitto fra la mia abitazione e il luogo dell’incontro. Dopo pochi passi mi rendo conto che la strada solitamente super trafficata che conduce a Beb Alioua è deserta. Ho paura e inizio a provare un senso di smarrimento, avrei voluto raggiungere al più presto il luogo dell’incontro, ritirare il computer necessario per lavorare e rientrare subito a casa. Ancora non sapevo che la mia sensazione di turbamento si sarebbe trasformata in una tragica concretezza. Camminando scorgo all’orizzonte un uomo e una donna e mi sento più sicura, mi avvicino a loro, la donna inizia subito a farmi domande molto personali e, in un momento di distrazione, è riuscita a rubarmi il cellulare e scappare. L’uomo che aveva accanto l’ha bloccata e mi ha restituito l’oggetto. Mi dissero che era uno scherzo e credevo che fossero sinceramente preoccupati per la mia incolumità quando si offrirono di accompagnarmi percorrendo una strada secondaria, a loro avviso più sicura. Sono stata ingenua. Quei pochi attimi cambiarono per sempre la mia vita. Cominciammo a percorrere la nuova strada insieme, ma la mia ansia cresceva. In un lampo riescono a bloccarmi e trascinarmi in uno stabile fatiscente. Mi conducono al secondo piano dell’edificio dove troviamo due ragazzi e una ragazza. Mi rinchiudono in una stanza, resto sola alcuni minuti. Mi era chiaro che non avrei potuto evitare in nessuno modo né lo stupro, né la morte. Pensavo che avrei preferito morire immediatamente, piuttosto che convivere per tutta la vita con una violenza di tale entità. Fra il terrore e la confusione in uno slancio di forza mi lancio dalla finestra al secondo piano. Cado in un prato condominiale. Cado male, non riesco a muovermi, ho un dolore tremendo alla schiena, scoprirò poi, in ospedale, di essermi procurata due fratture alla colonna vertebrale. Gli individui del sequestro mi hanno raggiunta e riportata al piano superiore. Sbattuta su di un materasso sporco e consunto due maschi hanno iniziato a picchiarmi e stuprarmi a turno senza pietà. Il terzo stava a guardare. Ero vergine.

Dopo alcuni instanti che non sarei in grado di quantificare, due figure del gruppo vedendomi pressocché incosciente e incapace di muovermi, mi aiutano a rivestirmi e vietano agli altri di continuare quella squallida violenza sul mio corpo. Pochi istanti di sollievo prima di perdere i sensi. Mi hanno lasciata sola tutta la notte. Sarei morta con dolori atroci se la mattina seguente all’alba, il gruppo non avesse deciso di liberarmi e restituirmi il cellulare. Le due persone che avevano avuto un po’ di compassione il giorno prima mi hanno dato il nome e il cognome del responsabile. Sono rimasta sola ancora una volta e ho chiamato la polizia. Mi hanno condotta in urgenza all’ospedale di Ben Arous, e una volta accertati i danni, trasferita direttamente in sala operatoria. L’intervento chirurgico è durato otto ore. Ho subito fratture nella prima e nella quarta vertebra, è stato intaccato il midollo spinale.  Ancora adesso non posso camminare e non so se potrò mai riprendere la mia attività motoria.”

Qual è il referto ospedaliero ad oggi?

“Mi è stata diagnosticata una paralisi agli arti inferiori, causata dalle percosse subite. Ma nonostante gli incalcolabili danni psicologici e morali voglio continuare a vivere e parlare.”

Samah dove trovi la forza per sopportare tutto questo?

“Parlo perché ho ancora voce, perché questa orribile tragedia non mi ha distrutto definitivamente, perché grazie a Dio sono ancora in vita e sto avendo molte occasioni per poter sensibilizzare la popolazione su una problematica fin troppo diffusa e accettata in tutto il mondo. Nessuno merita di subire un oltraggio così intimo dalle conseguenze imprevedibili.”

Molti gruppi e associazioni umanitarie si stanno attivando in Tunisia per far conoscere la tua storia. Qualcuno in particolare ti è stato accanto? 

“La mia famiglia sta lottando per la mia salute insieme a me. Ed è l’aiuto più grande che possa avere. Poi voglio ringraziare il cantante Ghali che mi ha mandato un messaggio di speranza; la mia amica e collega Imen e molte persone che stanno cercando soluzioni mediche affinché io possa riprendere a camminare.”

Sei una donna indipendente, libera, autonoma, hai un lavoro e parli diverse lingue, intendi ricostruire la tua vita in Tunisia o partire?

“La mia vita in Tunisia ormai è finita per ovvie ragioni. Non voglio rimanere qui. Non posso. Il mio compito adesso è altrove.”

Leggendo quello che scrivi intuisco che sei molto forte e determina.

“Si sono forte e voglio diventare un supporto a chiunque sia stato vittima di abusi e di violenze”.

Oggi Samah è ancora ricoverata in ospedale a Tunisi, abbiamo creato una rete di medici, attivisti e volontari che si sta interessando al suo caso per permetterle il massimo della ripresa possibile. L’Italia, che lei ama, conta tantissime persone che si vogliono battere per il suo recupero e per portare avanti il suo messaggio di lotta contro la violenza sulle donne.  A giorni lanceremo una petizione a favore suo e coinvolgeremo alcune istituzioni italiane al fine di potere aiutare Samah a trasferirsi in Italia e ricevere cure adeguate. Restate con noi e dateci una mano!

Elena Beninati

30 Aprile 2020